Riflessioni di un giovane o di un maturando sul futuro

Mentre scrivo l'inizio di questo articolo l'orologio segna le 21:56. Fuori è molto caldo ma la sera è tranquilla e dolce. Tra appena due giorni finirò la 5° superiore. Ho aspettato con ansia questo momento come tutti gli altri miei compagni e ora che ci siamo, quasi non ci facciamo caso. Non ci sembra vero; non ci diamo peso. Non sappiamo perché. Non possiamo neanche dire di essere preoccupati per gli esami, perché, tutto sommato, siamo rilassati e spensierati più di molti altri. Di sicuro, siamo stanchi dopo questo lungo percorso durato 13 anni e che, un po' alla volta, giornata dopo giornata, è finito. Ci sono stati momenti alti e bassi e alla fine siamo tutti più o meno felici di come è andata. Anche perché - si sa- il passato non torna indietro. E non sto parlando della scuola (non solo, almeno), ma della crescita. Non si smette mai di crescere e di imparare ma, simbolicamente, questo momento segna un passaggio importante. Quello che c'è dopo gli esami, fa pensare.

"Da che parte per la vittoria?"


Sicuramente, questa sensazione di bilico tra gioia e languido malessere dovuta al cambiamento l'hanno passata tutti. Tra qualche anno guarderò indietro a questi momenti e probabilmente dirò tra me e me: "Tutto sommato non era poi così tragico". Perché siamo tutti sicuri che più avanti sarà più dura. Lo abbiamo sempre saputo e l'abbiamo visto con i nostri occhi; ma mentre gli anni scorsi potevamo chiuderli, sognare e dire che non ci riguardava, ora non possiamo più farlo. E' suonata la sveglia.

E per cosa dobbiamo svegliarci, ora? Per costruirci un futuro, naturalmente. Per diventare 'qualcuno', anche nel nostro piccolo. Come tutti gli altri prima di noi. Ma per quanto il destino sia ineluttabile e le responsabilità vadano prese, trovo difficile guardare al futuro. Tra qualche anno potrei davvero dire - sorseggiando una birra fredda e ripensando in maniera soddisfatta a ciò che ho fatto -  che non c'era nulla da preoccuparsi. Ma non credo si possa esserne ancora così certi come una volta, nonostante la buona volontà che ci si metta. Il passato pochi lo ricordano, il presente fugge via e il futuro è annebbiato perché né il presente né il passato riescono ad essere interpretati.

Qual è il destino di noi giovani nel mondo in cui viviamo oggi? Non riesco a darmi una risposta precisa. Siamo davvero così fortunati come si pensa? Oppure no? Sicuramente, avrebbe potuto andarci peggio. Viviamo in una condizione di pace e stabilità... almeno apparentemente. Chi come me è nato in quella privilegiata parte di popolazione mondiale non può capire cosa vuol dire non avere da mangiare, un tetto sotto al quale vivere e la possibilità di istruirsi e di esprimere la nostra personalità in libertà. Non conosciamo né guerre né precarietà, né fatiche vere e nemmeno difficoltà. E' così tranquillo che possiamo vivere la nostra esistenza senza preoccuparci praticamente di nulla. Eppure è troppo bello per essere vero tutto così perfetto. E non tutti, pur magari vivendo a pochi metri da casa nostra, hanno le stesse possibilità. Quelli venuti prima di noi sanno bene cosa significa doversi creare delle possibilità.

Qualcosa però sta cambiando. Quel meccanismo contorto, malsano e ambiguo che ha garantito per così tanto tempo stabilità e pace al mondo nel quale noi viviamo sta venendo meno. Lo si sente nell'aria e i venti del cambiamento soffiano sulle nostre facce. E' ancora una brezza leggera, una calma sera d'estate come questa, nella quale si vedono bene le stelle ma all'orizzonte si profilano delle nubi scuri, dalle quali viene quel fresco e minaccioso venticello. Sento che qualcosa sta per accadere e che presto dovremmo affrontare qualcosa di grande. Forse troppo. Non si sa ancora bene cosa.

"Ne saremo all'altezza?" mi domando. La mia generazione si colloca nel momento di passaggio che potrebbe essere il più tragico o grandioso di tutta la storia umana. Nei prossimi anni si andranno a decidere le sorti del mondo. E non si tratta di esagerare, perché così è, dato che ogni nostra singola azione - anche il fatto che io stia scrivendo questo - si ripercuote su tutto e su tutti. Non c'è più spazio per coloro che vogliono illudersi che tutto vada bene e che qualcuno risolverà le cose al posto loro.

E non c'è più spazio nemmeno per l'apatia, l'ignoranza e l'indifferenza, poiché quest'ultime ci hanno portato alla realtà di oggi. Se non riusciamo a ricordare, imparare e combattere, probabilmente non ci sarà un futuro vero e proprio. Se le nuove generazioni non riusciranno a leggere la realtà e a capire che sulle nostre spalle reggono i destini del mondo e che bisogna prendersi grandissime responsabilità, allora andrà sempre peggio. Avere libertà e diritti implica anche avere doveri, ma questi ultimi vengono spesso dimenticati.

Sono i doveri quelli che ci permettono di avere i diritti e la libertà; quelli a cui è necessario adempiere se si vuole tirare avanti con la vita e che oggi quasi più nessuno vuole seguire poiché pensa solo ed esclusivamente ai propri diritti, che dovrebbero essere quelli di ogni singolo essere umano. I doveri non siamo in grado di seguirli. Un po' è colpa nostra, un po' di altro. Il futuro è sempre da scrivere; oggi più che mai lo è. Spero solo che gli scrittori siano bravi e che la penna abbia inchiostro: perché al posto di quello potrebbe esserci sangue.

Mentre finisco di scrivere sono le 23:26 e poco meno di 12 ore prima sono uscito da scuola. Ho finito. Non sono né triste né felice: solo confuso. Ora comincia il futuro. Ci saranno tanti diritti e anche tanti doveri.

Per "Il Vulcaniano" e per voi,
Lorenzo Naturale
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